sabato 22 agosto 2009



Da diversi anni la Scuola dell'Infanzia Pensogioco di Alessandria ha messo in atto percorsi di formazione e di laboratori di Educazione Ambientale.
Le esperienze formative, che hanno coinvolto anche insegnanti di altre scuole del territorio cittiadino, hanno visto l'intervento del dott. Marco Bertone dell'Ass. Wolf di Torino che da anni si occupa di formazione in Educazione Ambientale e non solo.
Come ricaduta didattica di tali percorsi, alcune scuole del circolo hanno messo in atto laboratori di ricerca-azione con i bambini dell'ultimo anno.
Quest'anno il corso dal titolo “Per gioco e per ragione”, articolato in quattro incontri, ha coinvolto in modo operativo il gruppo di insegnanti provenienti da diversi plessi delle Scuole dell’Infanzia di Alessandria.
Il percorso, attraverso riflessioni ed attività mirate, ci ha portati alla scoperta dei diversi ambiti in cui la dimensione ludica può essere individuata e nell’analisi delle sue proprietà; circa le dinamiche (regole e loro natura, interazione tra giocatori, i riferimenti ai fenomeni reali), le diverse tipologie ludiche, le potenzialità, gli sviluppi possibili e quindi l’ideazione di nuovi contesti ludici, il rapporto con altre manifestazioni della cultura, i valori estetici e creativi.
L'interesse che ha suscitato la tematica per la sua valenza educativa e la forte ricaduta operativa, ha fatto nascere nel gruppo, l'idea di questo Blog, che si propone principalmente come strumento di raccolta di contenuti ed esperienze in campo ludico.
SCOPI DEL BLOG "MONDOGIOCO"
essenzialmente vogliamo
1 giocare
2 rendere conto delle comunicazioni rispetto ai giochi (didattici e non) che possono costituire occasione di arricchimento culturale e cognitivo, ma anche divertimento
3 costruire uno spazio per gli Insegnanti del territorio per approfondire le tematiche connesse al gioco ma più in generale alle educazioni "speciali" (ambiente, cittadinanza, intercultura, comunicazione non violenta, eccetera...)
4 fare tutto ciò con un soggetto, l'Associazione "Wolf" per un rinnovo dei rapporti non solo istituzionali e formali ma di congruenza di intenti e di visione del mondo e della scuola che hanno contribuito a una collaborazione che (speriamo!...) potrebbe continuare anche nei prossimi anni
5 trovare uno spazio per poter usare la tecnologia della comunicazione per quello che a scuola o a casa poche volte riusciamo a fare: comunicare realmente su qualcosa di concreto
IL GIOCO DIDATTICO: UNA PREMESSA
di Marco Bertone
1.
Prima di tutto, occorre dire che i giochi hanno la loro massima espressione nelle ricerche dei bambini (Piaget disse: “essere seri come un bambino che gioca”) e nelle ricerche militari (!).
La guerra è un atto che può essere interpretato e simulato. I giochi di simulazione propriamente detti “board games” o “wargames” sono stati usati soprattutto durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale perché era molto importante immaginare dove sarebbero stati i nemici e quali possibilità di spostamento avrebbero avuto. Usare la semplificazione di quelli che oggi sono divenuti giochi semplici come “Risiko”, un po’ più complessi come “Assi e Alleati”, difficilissimi come “Russian Campaign”, tanto per parlare di giochi da tavola di guerra venduti in ogni negozio di giochi educativi e per adulti) era dunque vitale per la strategia. Ma già nel passato, i grandi generali avevano fatto ricorso alle simulazioni delle battaglie per poterle sostenere nella realtà.
Gli scacchi furono creati con un’evidente analogia militare e la gran fortuna di questo gioco sembra essere legata alla dimensione strategica molto complessa che prevede sulla base di alcune regole di base abbastanza semplici ma che lasciano il campo aperto a molteplici possibilità. Negli scacchi, come in molti altri giochi, l’elemento dell’imponderabilità e della flessibilità creativa nella strategia è centrale. Anche nella guerra: Rommel tenne in scacco gli inglesi che lo soverchiavano come numero e come potenza solo grazie al suo acume e alla capacità di esser imprevedibile. Infatti, egli iniziò a considerare il deserto non come un teatro di battaglia via terra, ma via mare e così questo cambio di strategia creò più difficoltà del previsto agli inglesi che lo stimarono grande stratega.
Gli scacchi prevedevano una figura importantissima di chiara ispirazione militare: la “tenda del comando” che aveva mansioni importantissime e che difendeva il Re. Ora la “tenda” è divenuta la Regina.
1 ½. INTERMEZZO CINEMATOGRAFICO.
Stanley Kubrick amava gli scacchi e molte interpretazioni dei suoi film passano per l’idea che egli creasse delle situazioni fra i personaggi leggibili attraverso le dinamiche della cosiddetta teoria matematica dei giochi. Così, i rapporti fra USA e URSS ne “Il Dottor Stranamore” risentirebbero degli scritti dei teorici dell’escalation che fanno largo uso delle teorie matematiche (ad esempio, Strategia e coscienza di Anatol Rapoport, che era in polemica con Kissinger, che molti dicono essere lo Stranamore del film). Così il rapporto fra il computer di bordo e gli astronauti in 2001 sarebbe stato legato ad una serie di vincoli ciechi o “doppi legami” psichiatrici che sono stati oggetto dello studio di Bateson che è uno dei massimi teorici del gioco, eccetera…
Di questo passo, ogni azione compiuta dai personaggi di Shining nel labirinto o i duetti fra Barry Lyndon e i suoi deuteroagonisti sarebbero leggibili come partite di scacchi. Per una trattazione esauriente, cfr. i libri di Ghezzi (monografia di Kubrick per il Castoro Cinema), Michel Ciment e Sandro Bernardi.
2. Sarebbe interessante pensare ai giochi come metafore della vita in quanto tale. Ciò potrebbe anche essere vero per gli scacchi. Non è stato ancora creato un mondo in cui le regole del gioco possono essere cambiate dai giocatori, perché allora il gioco diverrebbe o ingiocabile o meta-gioco, per cui il vero gioco è definire le regole piuttosto che giocare. Esistono, comunque, situazioni i cui la dimensione delle regole prevale sul gioco: ad esempio, quando qualcuno stabilisce nel calcio o nel basket i nuovi regolamenti per rendere il gioco più interessante, o quando i bambini si trovano in cortile a dover definire ogni volta, magari litigando, che cosa è il confine del campo da gioco, o quando il Congresso americano prevede un nuovo emendamento alla Costituzione in progress di cui quel Paese si è dotato. Non esiste però un emendamento che preveda di rendere inefficaci tutti gli emendamenti perché ciò costituirebbe un paradosso funzionale, un illecito giuridico, una violazione del sistema di regole e un aperto attacco alla teoria matematica dei Tipi Logici di Russell per cui un elemento della classe non può contenere la classe, così come un elemento di un insieme matematico non può contenere tutto l’insieme pena l’indecidibilità, che – in termini di gioco – vuol dire non poter più giocare.
3.
Un esempio di applicazione della teoria matematica dei giochi in politica: il paradosso della "rappresentanza" .
Esiste una scarsa possibilità statistico-matematica che la somma delle scelte individuali di ogni singolo elettore sia uguale all'uomo eletto nel dicastero; insomma, con qualsiasi sistema di votazione "democratico" chi ha il 49,9% dei voti rischia di non veder riconosciuta la sua legittimità e chi ha il 50,1% decide come se avesse il 100%. Un esempio classico: le composizioni dei distretti elettorali maggioritari nell'Ulster occupato dagli Inglesi permette abilmente che il 60% della popolazione (i protestanti) decida come se avesse il 95%.
In più, la teoria matematica dei giochi trattata diffusamente nell'opera di Rusconi, Riker, Brams ed Arrow esprime l'impossibilità di accorpare i voti e fare una media rappresentativa che sia l'espressione "reale" della volontà di ogni votante.
L'ordine o l'aggregazione di voti che esprimano preferenze individuali darebbe allora (nelle forme elettive conosciute) ordini di preferenza collettivi incoerenti. Il fatto che questo sembra verificarsi indipendentemente dal metodo di votazione adottato, ha portato a parlare del "paradosso del voto". Questo non è valido solo nel caso che ci si esprima votando un candidato o una proposta ma anche per quando ci si trova in situazioni di veti incrociati, ecc...
Il teorema del Paradosso del voto, che ha trovato grande fortuna in economia e che potrebbe essere una valida interpretazione di dinamiche non-lineari dei comportamenti sociali, esprime essenzialmente che:
1) se un individuo deve scegliere tra alternative, egli le ordina progressivamente in base alla propria preferenza (se la prima alternativa è meglio della seconda e questa della terza, anche la prima sarà migliore per il votante della terza) ;
2) pur avendo tutti i votanti espresso la loro preferenza secondo una priorità coerente come quella sopra descritta, l'esito collettivo sarà un ordine che non soddisfa il requisito di coerenza con le preferenze espresse dalla popolazione dei votanti ;
3) dovendo trarre una decisione dagli esiti del voto, o si accetta l'incoerenza delle scelte collettive variegate o viene instaurato un dispositivo "dittatoriale" che impone una coerenza su tutte le altre.
L'importanza di questo paradosso è palese allorquando gli autori specialisti ammettono che esso si verifica con qualsiasi tipo di votazione adottato.
4.
Il gioco è un mezzo estremamente potente per capire dinamiche, comunicare, apprendere qualcosa sui propri modi di fare e allestire la conoscenza dentro di sé e, ovviamnte, divertirsi.
Infatti, gioco e divertimento sono talvolta sinonimi.
Le potenzialità del gioco risiedono nell’avere senso, motivazioni, significati in sé stesso; questo è apparso qualche volta come un limite che ha condoto ad una generalizzata sottovalutazione della dimensione ludica sia su di un piano individuale, sia nell’analisi sociale e culturale.
Il primo grande autore capace di proporre il gioco come prospettiva attraverso cui leggere società e culture e numerosi psicologi e pedagogisti a svelarne la funzione nell’età evolutiva fu Huizinga col suo Homo Ludens . Successivamente il comportamento ludico fu riconosciuto, in etologia, anche in molti animali, consentendo di definirlo quale cornice per certi aspetti ambigua, entro cui le azioni, i comportamenti e le comunicazioni sono parallelamente reali ad un livello e fittizie ad un altro (Bateson).
Lo sviluppo di una teoria dei giochi di tipo matematico (von Neumann) ha consentito di definire un supporto teorico di lettura di svariate dinamiche in ambito socioeconomico. Più recentemente il gioco, inteso quale dinamica tra parti in azione e sviluppo, è stato individuato quale strumento concettuale per descrivere le caratteristiche dell’evoluzione di svariati sistemi complessi, non ultimi quelli viventi (Eigen e Winkler). Non sono poi mancate proposte di analisi delle caratteristiche fondanti dei giochi (Caillois), di loro classificazione o ricostruzione delle origini e della storia.
La dimensione ludica (del gioco) in ambito formativo ed educativo può essere inserita con notevoli vantaggi:
I. La possibilità di operare un distacco dal contesto contingente per ampliare le possibilità di ricerca,
II. La creazione di situazioni favorenti la fantasia, ovvero la facilità a calarsi in situazioni lontane dalla propria esperienza abituale (mondi lontani, nel caso di giochi di ruolo o simulazioni),
III. La creazione di situazioni in cui i partecipanti siano più disposti a lavorare,
IV. Il favorire la creazione di un clima piacevole.
La dimensione ludica deve però essere autentica: il gioco prevede uno scopo in sé stesso, non si può giocare con uno scopo esterno, o peggio fingere di giocare.
Tuttavia, terminato il gioco, esso potrà essere utilizzato come esperienza da analizzare e ricostruire.
La dinamica ludica può accompagnarsi all'attività formativa sdrammatizzando fenomeni reali complessi, agevolando l'interpretazione di un ruolo, creando condizioni in cui sia forte il piacere del fare in sé (manipolazione, sensazioni coinvolgenti, motricità), utilizzando la competizione verso gli altri o se stessi.
Come detto, i campi simulati (ad esempio giochi di simulazione e di ruolo) sono adeguati a fare interagire il gruppo con quegli oggetti o quei fenomeni reali che concretamente non possono essere utilizzati, data la loro essenza dinamica o il loro svi­luppo in ambiti non percepibili direttamente. Parallelamente, nell'ambito della simulazione è possibile interpretare ruoli lontani dai propri, cosa che consente la comprensione delle ragioni delle scelte e delle modalità di rapporto con l'ambiente da prospettive diverse da quelle personali. Infine è possibile ragionare sul gioco stesso quale modello di realtà, scoprendone i limiti e le potenzialità. La simulazione è un modello dinamico di un contesto (ambientale, reale, immaginario), in cui viene focalizzato un numero limitato di aspetti. L’esperienza della simulazione consente di rapportarsi, fare, decidere entro un modello di realtà (naturale, sociale, tecnologica). Calarsi in un ruolo significa riprodurre un punto di vista sulla realtà per comprenderne bisogni, rapporti, modi di pensare, punti di vista. Il gioco diviene ambito complesso ove decidere, agire, trasformare, rappresentare scenari .
5.
A partire dalle opere di Paul Ricoeur e precisamente dal suo scritto Il modello del testo, apparso sulla prestigiosa rivista “Social Research” nel 1971, le scienze interpretative costruiscono il loro programma intorno a una potente metafora: quella che vede l’azione umana = testo. Di fronte a questo testo, l’opera del ricercatore è quella di essere un’interprete, che deve produrre una proposta di comprensione del significato. E’ in questa ottica che si interpreta il ricercatore come colui che contribuisce attivamente alla costituzione del sapere. Il ricercatore diventerebbe così un traduttore di discorsi, nel tentativo di evidenziare il significato del testo (o, meglio, di ciò che egli interpreta e traduce). Ogni gesto, ogni comportamento oggetto dello studio di un ricercatore nel campo sociale ed umano diventa così sede di uno slittamento di significato, perché l’interpretazione non è il dato).
Ma la metafora del testo e dell’attività del ricercatore come interprete pone dei limiti all’interpretazione stessa, come quello di offrire una rappresentazione dell’oggetto della ricerca in maniera statica, come cosa solamente da leggere, già fornita da un contesto e non soggetta a modifiche, così come non soggetta a modifiche è la struttura della ricerca che si va a intraprendere.
Un ulteriore approccio alla questione è stata quindi quella di passaggio da uno statuto delle scienze umane da interpretativo a dialogico: Clifford & Marcus hanno proposto (a partire dai loro scritti degli anni ‘80) l’attenzione sul fatto che la ricerca sociale si basa sul significato dei dialoghi e delle interazioni fra ricercatore e soggetti indagati. L’attività di osservazione compiuta dal ricercatore non si basa allora più sul cogliere gli eventi, su descriverli in cerca di una (impossibile) oggettività, ma soprattutto sul significato che gli eventi hanno per gli attori sociali coinvolti. In questa logica, importanza assoluta ha il fatto che l’accesso alla visione della realtà dei soggetti indagati è comunque mediato da transazioni discorsive. In questa logica, il soggetto indagato e il ricercatore costituiscono e negoziano una versione della realtà impegnandosi entrambi nella ricerca. Il ricercatore non è più un interprete, ma è un co-autore del testo.
La presenza del ricercatore sul campo incide sulla ricerca.
Heinz von Foerster (soprattutto nell’opera Sistemi che osservano) ha più volte rilevato la riflessività del sistema costituito dalla relazione fra sistema osservato e sistema osservatore: il ricercatore dà forma, informa di sé l’oggetto e lo consegna sotto una descrizione del cui aspetto egli è fin dall’inizio responsabile.
In questa logica, che deriva dagli studi della cosiddetta “seconda cibernetica”, non solo si vede mutare la percezione della natura dell’incidenza del sistema osservatore sul sistema osservato, e quindi il ruolo centrale del ricercatore sul campo, ma anche il fatto che la libertà di interpretare e di ritradurre il significato della ricerca che si conduce non è un rischio o un intralcio della ricerca, ma la caratterizzazione di ogni iniziativa di ricerca, come parte costituente.
Con questa svolta dialogica nelle scienze sociali o nell’ambito delle ricerche come pratiche sociali (ossia con uomini e donne concreti, in situazioni pratiche) IL RICERCATORE NON E’ UN MEZZO INTERPRETATIVO PER RACCOGLIERE UN SAPERE MA PARTE DEL SAPERE STESSO!
6.
Allo stesso modo, l’insegnante può fare ricerca mettendosi in prima persona all’interno di un contesto normale, come quello educativo della classe, e sapere che il suo stesso essere presente incide sulla dimensione dell’apprendimento e del riconoscimento di un senso e di un significato nel lavoro dei suoi allievi. La maniera di fare ricerca non è uguale per tutti, né è sancita a priori dal fatto che si ponga l’etichetta della ricerca su ogni azione che l’insegnante compie. Lavorare però nell’ottica della scoperta di un senso assieme alla propria classe implica però anche sapersi divertire e in qualche misura, essere parte del gioco, esploratore fra gli esploratori, maestro fra i ragazzi e mediatore di conoscenze.
PICCOLA BIBLIOGRAFIA:
§ Bateson G. ”Verso un’ecologia della mente” Adelphi 1976.
Bertone M, Bianco L., Boni V. “Mappe e Tesori” progetto della Associazione Culturale “DPA-Concetti Fluidi” 1997.
§ Maturana H.R. & Varela F.J. “Autopoiesi e cognizione” Marsilio Editori 1985.
§ Maturana H.R. & Varela F.J. “L’albero della conoscenza” Garzanti 1987.
Von Foerster H. “Non sapere di non sapere” in “Che cosa è la conoscenza” Laterza 1990.

IL GIOCO
L’elemento del gioco, sia esso formalizzato o no, “spontaneo” o regolato, è un elemento ineludibile della riflessione teorica sull’animazione, soprattutto perchè è la modalità principale di lavoro dell’animatore nei contesti in cui si trova a svolgere il proprio ruolo professionale.
Prima, però, di iniziare ad analizzare le potenzialità del gioco in senso stretto o come opportunità di potenziamento dello sviluppo personale in animazione, occorre provare a fare un breve excursus storico circa le varie posizioni teoriche susseguitesi nella storia del pensiero, cercando di enucleare le costanti e le differenze di tali pensieri che hanno largamente influenzato l’approccio anche pratico alla tematica ludica.
PRIMA PUNTATA
In questo excursus è stata focalizzata l’attenzione su alcuni aspetti che hanno caratterizzato il dibattito, soprattutto circa la componente educativa e le finalità di sviluppo evolutivo del gioco, ma occorre precisare che alcuni autori hanno lungamente trattato del gioco in senso lato e rifrendolo non solo all’infanzia.
Possiamo evidenziare alcune scuole teoriche in ordine cronologico, ciascuna esprimendo approcci metodologici diversi, talvolta in modo sensibilissimo:
1. Il gioco dall’antichità a Kant
2. Il gioco nel Romanticismo
3. Il gioco nel Positivismo
4. La posizione teorica di Claparède
5. Le ricerche di Decroly
6. Lo studio del gioco in relazione al ruolo: finzione-simbolo/egocentrismo-socialità nel gioco
7. Piaget
8. Il rapporto gioco-lavoro
9. Il gioco e la terapia: approcci psicoanalitici e psicosociologici
DECROLY
Per questo autore il gioco non implica uno scopo cosciente, a differenza del lavoro. Il gioco non ha quindi finalità, e, la demarcazione fra gioco e lavoro sembra essere segnata dal fatto che quest’ultimo è un’attività penosa, che richiede uno sforzo e finalizzata ad uno o più scopi.
Nei bambini il gioco è un bisogno e tramite tale dimensione il bambino può conseguire la consapevolezza d’apprendimento. Un intervento educativo può fare in modo che il gioco, attraverso la ripetizione di certe conoscenze indispensabili, metta in campo metodi che producono auto-educazione da parte del bambino.
CLAPAREDE
L’attenzione di questo autore è stata soprattutto sullo sviluppo genetico. L’educatore (animatore) deve quindi conoscere molto bene le fasi di tale sviluppo, le condizioni favorevoli e sfavorevoli affinchè il periodo evolutivo dell’uomo porti alla pienezza della perfezione.
Claparède si pone un interrogativo circa la funzione dell’infanzia, giungendo alla conclusione che l’INFANZIA SERVE A GIOCARE E AD IMITARE.
Quindi, il gioco diventa, nell’età evolutiva, un’ATTIVITA’ CON UN FINE INTRINSECO.
In un periodo in cui esistevano e venivano formalizzate molte teorie sul gioco, tale autore si inserì ritenendo che il gioco fornisse all’organismo lo stimolo necessario allo sviluppo degli organi, fosse d’aiuto per sfogare emozioni altrimenti pericolose.
Quindi, mentre alcune tendenze teoriche sostenevano che il gioco fosse un residuo di tendenze ataviche, o che servisse ad “eliminare i surplus di energia”, Claparède anticipava la teoria freudiana e kleiniana secondo la quale nel gioco si sfogano in modo simbolico tensioni e impulsi interiori.
Un’altra grande intuizione di Claparède è stata quella di distinguere i vari tipi di gioco:
· giochi sensoriali
· giochi motori
· giochi intellettuali
· giochi affettivi
· giochi sociali
tutti connessi all’età e all’interesse/bisogno dell’individuo.
In tutti i giochi si avrebbe una componente multipla, ed essi piacciono in quanto danno soddisfazioni, poiché, TUTTO CIO’ CHE RISPONDE AD UN BISOGNO DA SODDISFAZIONE (= tutto ciò che asseconda lo sviluppo dei bambini provoca loro piacere).
PIAGET
Il gioco costituisce, per questo celebre autore, il POLO ASSIMILATIVO, così come l’imitazione costituisce il POLO ACCOMODATIVO DELLO SVILUPPO.
Il gioco inizia però più tardi, in quanto in una prima fase (primo stadio) il bambino fa solo esercizio dei propri riflessi. Il gioco appare, comunque, già nelle prime reazioni circolari, quando il bambino mostra di divertirsi ad emettere suoni, ed accompagna il movimento della testa e delle mani con una mimica di sorriso.
Nel cosiddetto terzo stadio prova il piacere di essere causa (scuotere un sonaglio, far cadere un giocattolo), e, nel quarto stadio, per mezzo della COORDINAZIONE DEGLI SCHEMI, sa fare vere e proprie combinazioni ludiche, destinate a divenir sempre più complesse e ad assumere, nello stadio successivo, un CARATTERE RITUALE, per cui il bambino ripete minuziosamente tutti i gesti, utili ed inutili per il suo gioco, al solo scopo di esercitare la sua attività in modo completo.
Piaget riteneva che il simbolo ludico procedesse da un rituale motore, ovvero dall’esecuzione di un’azione anche incidentale che assume significato in base alla SOMIGLIANZA CON UN’ALTRA AZIONE.
Nella sesta fase dello sviluppo secondo Piaget appaiono, invece, veri e propri SCHEMI SIMBOLICI COMPLESSI, accompagnati dal sentimento della finzione , del “come se”, che distingue il gioco simbolico da quelli semplicemente motori.
E’ evidente l’affinità fra le caratteristiche di tale fase e l’imitazione differita, dacché gli oggetti vengono usati per mimare. L’elemento che li differisce è però l’avvento di un processo di ASSIMILAZIONE DEFORMANTE DI OGGETTI NUOVI, a cui applicare schemi personali (ed ecco apparire ANALOGIE: la foglia diventa piatto, il ditale diventa un bicchiere, ecc...).
Il simbolo ludico, benché assomigli al segno, differisce, nella teoria piagetiana, ha una certa analogia con l’oggetto significato, mentre il segno (parola) è puramente convenzionale e sociale.
E’ assolutamente centrale nel pensiero di Piaget che la comparsa del gioco simbolico coincida con l’inizio del linguaggio. Su questa coincidenza di fattori, ad esempio, Piaget basa la sua dimostrazione dell’indissolubilità e complementarietà degli aspetti individuali e sociali dell’equilibrio dello sviluppo della personalità.
Cosa significa il “gioco”?
· Ci si mette in campo in maniera diversa
· Vengono rappresentati ruoli talvolta meno formali e diversi
· Si possono riscontrare comportamenti improntati a MENO DIFESE
· Dubbio: nei giochi di gruppo si tende ad accettare tutti?
· E’ importante la dialettica COOPERAZIONE/COMPETIZIONE
· OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE
· ACQUISIZIONE ED INTERPRETAZIONE DI RUOLI
· VINCITA/PERDITA
· L’ACQUISIZIONE DI RUOLI IMPLICA ATTENZIONE A SE STESSI E RITORNO INEVITABILE A PROPRIO CARATTERE COME MODALITA’ DI ESPRESSIONE
· STRATEGIEÛ TECNICHE
· REGOLE
· GIOCO = MOTORE DI APPRENDIMENTI/CAMBIAMENTI
(1) la coscienza filosofica (come la coscienza in generale) è la possibilità dell’autocoscienza; (2) l’autocoscienza, a sua volta, è la possibilità della riflessione trascendentale; (3) la riflessione filosofica costituisce un caso particolare di riflessione trascendentale. La riflessione filosofica ci permette di sviluppare argomenti trascendentali in grado di chiarificare i concetti impiegati in quella riflessione stessa. Questi argomenti trascendentali ci riportano al luogo da cui siamo partiti, a ciò che già sappiamo. Gli argomenti trascendentali esplicitano i concetti, nelle loro interconnessioni e nel loro elucidarsi a vicenda, tali che qualsiasi cambiamento apportato ad uno solo di questi concetti coinvolge anche tutti gli altri. La riflessione filosofica è immanente, non "meta": non ci trasporta ad un livello superiore, ma piuttosto approfondisce il livello al quale già ci troviamo. Quindi, la riflessione filosofica non ci mette nella posizione contraddittoria di pensare oltre i limiti del pensiero. Le osservazioni del secondo Wittgenstein sulla filosofia esprimono questo tipo di riflessione trascendentale. Fanno parte del "gioco linguistico trascendentale".



PREMESSA METODOLOGICA - GIOCO E SCUOLA
Nella scuola italiana, a differenza della scuola anglosassone, i termini «gioco» ed «educazione» vengono visti come antitetici e per lo meno non facilmente conciliabili, mentre i fondamenti pedagogici e psicologici del gioco (si pensi alle ricerche di Piaget e Bruner, ad esempio) sono tuttavia evidenti.
Inoltre il gioco è un argomento che coinvolge varie discipline: la Matematica (con la Teoria dei Giochi), l’Etologia, la Filosofia, la Letteratura (che hanno in comune, in quanto discipline, il fatto di costituire modelli del mondo).
Il gioco è un elemento creatore di cultura, come ha da tempo riconosciuto la scuola primaria, forse facilitata da tante condizione, fra cui quella di essere visto come una caratteristica dell’età infantile, arrivando a supporre che l’attività ludica sia solo una forma usata dal bambino per conoscere ed entrare in relazione con la realtà, ma passata l’età infantile del gioco si possa tranquillamente farne a meno. In realtà si farebbe meglio a pensare all’attività ludica come ad un fattore costante dell’esperienza giovanile non riconducibile alla sola età infantile: basti a tale riguardo pensare ai giochi informatici, ai videogame, alle playstation così tanto diffusi tra gli allievi di 15-16 anni, proprio l’età degli allievi ai quali la scuola preferisce non parlare più in termini di giochi.
Ciò costituisce una contraddizione in termini evidente.
Il gioco può agevolmente contribuire a definire pratiche didattiche valide per strategie educative in tutte le varie fasi del processo educativo.
Per Bruner, nella cui teoria dell’istruzione la fase ludica ha un ruolo assolutamente centrale, l’efficacia dei processi di apprendimento si fonda sull’acquisizione di un atteggiamento problematico (problem solving), sulla possibilità di un «uso attivo delle strutture apprese» (da cui, sostiene Bruner, la necessità di «pensare per strutture», vale a dire utilizzando idee generali su cui si basano le conoscenze nelle varie discipline). Nel suo pensiero riveste particolare significato il rapporto tra «argomento di studio» e «processo di apprendimento»: quest’ultimo si configura come «una serie di formulazioni successive di un problema secondo un ordine di progressione che fa crescere nell’allievo le capacità di trasferire ciò che apprende, … attraverso un atteggiamento di curiosità, di scoprire da sé». Nell’ambito di questa concezione della didattica, è di fondamentale importanza il ruolo della rappresentazione, definita come “traduzione dell’esperienza in un modello del mondo”, che presenta tre differenti modalità (che si trovano combinate tra loro nella gaming simulation): modo attivo (attraverso l’azione), modo iconico (attraverso la visualizzazione), modo simbolico/verbale (attraverso il linguaggio).

Nella scuola superiore, quindi, è molto utile strutturare, nel caso in cui si proceda all’uso di strumenti ludici, situazioni che permettano di conseguire alcuni obiettivi cognitivi:
· formulare congetture ed ipotesi sulla base degli input informativi ricevuti,
· compiere operazioni sulla base dei concetti introdotti,
· proporre modelli di rappresentazione della realtà,
· insegnare a maneggiare e verificare modelli teorici,
· rendere la discussione strumento per istruire, valorizzando così il ruolo del linguaggio.

Apprendere (o pensare) per strutture, per modelli, secondo relazioni è nella moderna pratica e letteratura didattica, coincide con un modello della conoscenza che si poggia su alcune basi:
· un insieme di variabili poste in relazione fra loro,
· una rappresentazione ridotta della realtà tramite un qualcos’altro (equazioni, simbologie, immagini), rappresentazione che permette di formulare ipotesi e porre domande
· un punto di vista formalizzato in base a regole, ma comunque sempre parziale che costituisce una possibile interpretazione dei fenomeni considerati, riproducibile e trasferibile.

Tra le principali positività dell’uso didattico dei modelli c’è senz’altro quella di rimettere in discussione il carattere assolutamente oggettivo della realtà come “dato” e di mostrare invece come la conoscenza si organizzi secondo un’ipotesi esplicativa dei fenomeni; in tal modo vengono posti al centro dell’apprendimento non dati e fatti scorrelati fra loro, bensì un’insieme di relazioni dinamiche per spiegare le quali non bastano semplici relazioni causa-effetto ma occorra introdurre nozioni quali interazione e/o causalità reciproca, in altre parole sono le idee e le conoscenze ad essere oggetto di un modello .
Il modello, come appena definito, è implicito nel concetto stesso di simulazione definibile come il progettare un modello di un sistema reale e condurre tramite esso esperimenti per comprendere il comportamento del sistema medesimo e/o valutare le possibili strategie per operare sul sistema.

I giochi di ruolo e di simulazione (di tipo didattico, e quindi supportati da almeno 3 condizioni essenziali e necessarie che sono illustrate nello Schema 1) si legano alle caratteristiche attese di operatività intesa come un “saper fare”.

In quest’ottica i processi di apprendimento seguono percorsi ricorsivi che interessano risultati e strumenti, influendo gli uni sugli altri secondo circoli virtuosi o viziosi a seconda delle capacita di controllo del soggetto. Dal nostro punto di vista non vi può essere reale trasferimento di conoscenza senza riflessione critica sulle strategie adottate per acquisirla e sui vincoli di validità.
La sperimentazione, mediante strumenti autocostruiti o acquistati consente di collegare l’apprendimento all’autostima, rafforzando il senso di dominio sul mondo esterno e sul “motore inferenziale interno” o strumento testa.
Ogni essere vivente è programmato in modo omeostatico all’apprendimento, ad organizzare e riorganizzare secondo rigorosi criteri economici le proprie risorse e i propri comportamenti, apprendere significa dare forma alle proprie energie vitali e quindi influire sull’ambiente dando i nomi alle cose secondo regole etiche generalmente condivise.
L’organizzazione cognitiva dello spazio si lega all’organizzazione concettuale della conoscenza, ai metodi e agli strumenti adottati, il problem-solving al gioco didattico, il tempo al ritmo, alla musica e alla ricerca di livelli di astrazione sempre più elevati.
Ed ecco che quindi una situazione di gioco permette anche il confronto e la costruzione di modelli nel senso di sapere usare al meglio i concetti e le relazioni in esso contenuti: in quest’ottica l’esperienza non è solo quella che si può toccare con mano, ma può riferirsi a cose remote nel tempo o nello spazio purché esse possano essere rese visibili e rappresentate.
È facile così comprendere tutta la potenzialità simbolica della gaming simulation che offre l’opportunità di:
· rappresentare concretamente realtà astratte,
· acquisire automatismi basati sul meccanismo stimolo-risposta,
· comprendere le regole del gioco, nel senso di saper organizzare un proprio comportamento razionale e coerente ed una propria strategia operativa fondata sulla struttura intrinseca del gioco,
· comprendere l’aspetto simbolico che fa del gioco una simulazione, ossia riuscire a discernere la realtà che sta sotto il modello.

I giochi di simulazione implicano inoltre lo sviluppo di uno tra i principiali aspetti educativi la cui acquisizione specifica nelle varie discipline risulta spesso alquanto macchinosa da parte degli allievi: l’abilità linguistica. Essa viene trasmessa sia quando, nella fase che precede il gioco, si presenta tutta la terminologia ed i vari concetti preliminari, sia durante il suo svolgimento, come anche nella fase finale (durante il debriefing). La gaming simulation è particolarmente indicata per questo scopo, infatti i vari vocaboli vengono dapprima definiti, poi esercitati e quindi usati operativamente sul campo; inoltre la nuova terminologia introdotta viene costantemente accoppiata ad una visualizzazione, rendendo così più agevole l’apprendimento (nella gaming simulation gli aspetti linguistici-attivi-visivi viaggiano sempre di pari passo). Il linguaggio trova però la sua più generale utilità nella fase del dibattito finale (debriefing) che ha lo scopo di valorizzare tutto ciò che il gioco include, stimolando gli allievi a fornire spiegazioni e motivazioni circa le diverse fasi vissute. Al riguardo si può ricordare come il fatto di “fare domande” (e in generale l’atteggiamento problematico) consenta di comprendere come anche i dettagli possano essere significativi e veicoli di informazioni; tutto ciò allena gli allievi ad una lettura in senso critico del dato, abitua a non considerarlo con acriticità ma come qualcosa di problematico che deve essere fatto oggetto di indagine. Il debrifing ha poi la funzione di rendere esplicite le caratteristiche artificiali e convenzionali del modello il quale, leggendo la realtà, considera degli aspetti ma inevitabilmente ne tralascia altri: la parola ha proprio la funzione di introdurre ciò che nel modello non è presente (per esempio la generale maggiore complicazione degli aspetti sociali, delle relazioni umane e culturali, ecc.). Attraverso il linguaggio gli allievi possono così rendersi conto di come la conoscenza non sia qualcosa di statico, ma piuttosto sia sempre in continua evoluzione e debba essere considerata sempre in progressione.
Viene ora spontaneo chiedersi quale sia il ruolo dell’insegnante nella gaming simulation. Il suo è un ruolo di fondamentale importanza: ha il compito di guidare l’attività, orientare la discussione, aiutare gli allievi a prendere parte attiva al processo di apprendimento - da veri protagonisti - ed in sua assenza moltissime potenzialità della simulazione resterebbero inespresse.
Schema 1. Condizioni per usare un gioco di ruolo o di simulazione a scuola.
a. presenza di un tema (ad esempio, la storia di un luogo) o un problema (procedure logico-deduttive da acquisisre)
b. presenza di un settino educativo adeguato (tempi e spazi)
c. presenza di spazi di riflessione dopo il gioco

Schema 2. Tipologie di giochi per le classi di Scuola Superiore
a. giochi logico-matematici (per innescare intuizioni logiche),
b. giochi di ruolo (role-play, per indagare l’assunzione di ruoli fittizi),
c. giochi di simulazione strategica (per esempio i wargames),
d. giochi di simulazione giocata su tavoliere (simulation games),
e. giochi di simulazione giocata su computer (computer simulation).

Schema 3. Problem setting e problem solving in sintesi.
Il processo metodologico parte dal disagio, che sta prima del setting del problema. Poi analizza lo scenario, per tutto ciò che ha a che fare con l'organizzazione in esame, e per le linee di sviluppo possibili. Quindi analizza la situazione interna, e la storia di quanto è avvenuto prima. Cerca di capire dove si sta andando con l'analisi dei trend. Si evidenziano quindi le aree di criticità. Si organizza la raccolta dei dati, e si attivano tecniche di stimolazione della creatività. A questo punto si è in grado di definire il problema, e di organizzarne la soluzione con le tecniche di problem solving.

Piccola bibliografia per l’Insegnante
Caillois R. (1981) I Giochi e gli Uomini, ed. A cura di G.. Dossena, Bompiani
Cecchini A. et Al. (1987) “I giochi di Simulazione nella Scuola, ed. Zanichelli.
Duhem P. (1978) La teoria Fisica. Il suo oggetto e la sua struttura. Ed, Il Mulino.
Huizinga J. (1973), Homo Ludens, ed. Einaudi
Turkle S. (1998) La simulazione è seducente ma, se non la capisci, inganna; Telema, 12, pp. 42
Von Neumann J. et Al. (1944) “Theory of games and economical behaviour ”, Princeton University Press.