sabato 22 agosto 2009

IL GIOCO DIDATTICO: UNA PREMESSA
di Marco Bertone
1.
Prima di tutto, occorre dire che i giochi hanno la loro massima espressione nelle ricerche dei bambini (Piaget disse: “essere seri come un bambino che gioca”) e nelle ricerche militari (!).
La guerra è un atto che può essere interpretato e simulato. I giochi di simulazione propriamente detti “board games” o “wargames” sono stati usati soprattutto durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale perché era molto importante immaginare dove sarebbero stati i nemici e quali possibilità di spostamento avrebbero avuto. Usare la semplificazione di quelli che oggi sono divenuti giochi semplici come “Risiko”, un po’ più complessi come “Assi e Alleati”, difficilissimi come “Russian Campaign”, tanto per parlare di giochi da tavola di guerra venduti in ogni negozio di giochi educativi e per adulti) era dunque vitale per la strategia. Ma già nel passato, i grandi generali avevano fatto ricorso alle simulazioni delle battaglie per poterle sostenere nella realtà.
Gli scacchi furono creati con un’evidente analogia militare e la gran fortuna di questo gioco sembra essere legata alla dimensione strategica molto complessa che prevede sulla base di alcune regole di base abbastanza semplici ma che lasciano il campo aperto a molteplici possibilità. Negli scacchi, come in molti altri giochi, l’elemento dell’imponderabilità e della flessibilità creativa nella strategia è centrale. Anche nella guerra: Rommel tenne in scacco gli inglesi che lo soverchiavano come numero e come potenza solo grazie al suo acume e alla capacità di esser imprevedibile. Infatti, egli iniziò a considerare il deserto non come un teatro di battaglia via terra, ma via mare e così questo cambio di strategia creò più difficoltà del previsto agli inglesi che lo stimarono grande stratega.
Gli scacchi prevedevano una figura importantissima di chiara ispirazione militare: la “tenda del comando” che aveva mansioni importantissime e che difendeva il Re. Ora la “tenda” è divenuta la Regina.
1 ½. INTERMEZZO CINEMATOGRAFICO.
Stanley Kubrick amava gli scacchi e molte interpretazioni dei suoi film passano per l’idea che egli creasse delle situazioni fra i personaggi leggibili attraverso le dinamiche della cosiddetta teoria matematica dei giochi. Così, i rapporti fra USA e URSS ne “Il Dottor Stranamore” risentirebbero degli scritti dei teorici dell’escalation che fanno largo uso delle teorie matematiche (ad esempio, Strategia e coscienza di Anatol Rapoport, che era in polemica con Kissinger, che molti dicono essere lo Stranamore del film). Così il rapporto fra il computer di bordo e gli astronauti in 2001 sarebbe stato legato ad una serie di vincoli ciechi o “doppi legami” psichiatrici che sono stati oggetto dello studio di Bateson che è uno dei massimi teorici del gioco, eccetera…
Di questo passo, ogni azione compiuta dai personaggi di Shining nel labirinto o i duetti fra Barry Lyndon e i suoi deuteroagonisti sarebbero leggibili come partite di scacchi. Per una trattazione esauriente, cfr. i libri di Ghezzi (monografia di Kubrick per il Castoro Cinema), Michel Ciment e Sandro Bernardi.
2. Sarebbe interessante pensare ai giochi come metafore della vita in quanto tale. Ciò potrebbe anche essere vero per gli scacchi. Non è stato ancora creato un mondo in cui le regole del gioco possono essere cambiate dai giocatori, perché allora il gioco diverrebbe o ingiocabile o meta-gioco, per cui il vero gioco è definire le regole piuttosto che giocare. Esistono, comunque, situazioni i cui la dimensione delle regole prevale sul gioco: ad esempio, quando qualcuno stabilisce nel calcio o nel basket i nuovi regolamenti per rendere il gioco più interessante, o quando i bambini si trovano in cortile a dover definire ogni volta, magari litigando, che cosa è il confine del campo da gioco, o quando il Congresso americano prevede un nuovo emendamento alla Costituzione in progress di cui quel Paese si è dotato. Non esiste però un emendamento che preveda di rendere inefficaci tutti gli emendamenti perché ciò costituirebbe un paradosso funzionale, un illecito giuridico, una violazione del sistema di regole e un aperto attacco alla teoria matematica dei Tipi Logici di Russell per cui un elemento della classe non può contenere la classe, così come un elemento di un insieme matematico non può contenere tutto l’insieme pena l’indecidibilità, che – in termini di gioco – vuol dire non poter più giocare.
3.
Un esempio di applicazione della teoria matematica dei giochi in politica: il paradosso della "rappresentanza" .
Esiste una scarsa possibilità statistico-matematica che la somma delle scelte individuali di ogni singolo elettore sia uguale all'uomo eletto nel dicastero; insomma, con qualsiasi sistema di votazione "democratico" chi ha il 49,9% dei voti rischia di non veder riconosciuta la sua legittimità e chi ha il 50,1% decide come se avesse il 100%. Un esempio classico: le composizioni dei distretti elettorali maggioritari nell'Ulster occupato dagli Inglesi permette abilmente che il 60% della popolazione (i protestanti) decida come se avesse il 95%.
In più, la teoria matematica dei giochi trattata diffusamente nell'opera di Rusconi, Riker, Brams ed Arrow esprime l'impossibilità di accorpare i voti e fare una media rappresentativa che sia l'espressione "reale" della volontà di ogni votante.
L'ordine o l'aggregazione di voti che esprimano preferenze individuali darebbe allora (nelle forme elettive conosciute) ordini di preferenza collettivi incoerenti. Il fatto che questo sembra verificarsi indipendentemente dal metodo di votazione adottato, ha portato a parlare del "paradosso del voto". Questo non è valido solo nel caso che ci si esprima votando un candidato o una proposta ma anche per quando ci si trova in situazioni di veti incrociati, ecc...
Il teorema del Paradosso del voto, che ha trovato grande fortuna in economia e che potrebbe essere una valida interpretazione di dinamiche non-lineari dei comportamenti sociali, esprime essenzialmente che:
1) se un individuo deve scegliere tra alternative, egli le ordina progressivamente in base alla propria preferenza (se la prima alternativa è meglio della seconda e questa della terza, anche la prima sarà migliore per il votante della terza) ;
2) pur avendo tutti i votanti espresso la loro preferenza secondo una priorità coerente come quella sopra descritta, l'esito collettivo sarà un ordine che non soddisfa il requisito di coerenza con le preferenze espresse dalla popolazione dei votanti ;
3) dovendo trarre una decisione dagli esiti del voto, o si accetta l'incoerenza delle scelte collettive variegate o viene instaurato un dispositivo "dittatoriale" che impone una coerenza su tutte le altre.
L'importanza di questo paradosso è palese allorquando gli autori specialisti ammettono che esso si verifica con qualsiasi tipo di votazione adottato.
4.
Il gioco è un mezzo estremamente potente per capire dinamiche, comunicare, apprendere qualcosa sui propri modi di fare e allestire la conoscenza dentro di sé e, ovviamnte, divertirsi.
Infatti, gioco e divertimento sono talvolta sinonimi.
Le potenzialità del gioco risiedono nell’avere senso, motivazioni, significati in sé stesso; questo è apparso qualche volta come un limite che ha condoto ad una generalizzata sottovalutazione della dimensione ludica sia su di un piano individuale, sia nell’analisi sociale e culturale.
Il primo grande autore capace di proporre il gioco come prospettiva attraverso cui leggere società e culture e numerosi psicologi e pedagogisti a svelarne la funzione nell’età evolutiva fu Huizinga col suo Homo Ludens . Successivamente il comportamento ludico fu riconosciuto, in etologia, anche in molti animali, consentendo di definirlo quale cornice per certi aspetti ambigua, entro cui le azioni, i comportamenti e le comunicazioni sono parallelamente reali ad un livello e fittizie ad un altro (Bateson).
Lo sviluppo di una teoria dei giochi di tipo matematico (von Neumann) ha consentito di definire un supporto teorico di lettura di svariate dinamiche in ambito socioeconomico. Più recentemente il gioco, inteso quale dinamica tra parti in azione e sviluppo, è stato individuato quale strumento concettuale per descrivere le caratteristiche dell’evoluzione di svariati sistemi complessi, non ultimi quelli viventi (Eigen e Winkler). Non sono poi mancate proposte di analisi delle caratteristiche fondanti dei giochi (Caillois), di loro classificazione o ricostruzione delle origini e della storia.
La dimensione ludica (del gioco) in ambito formativo ed educativo può essere inserita con notevoli vantaggi:
I. La possibilità di operare un distacco dal contesto contingente per ampliare le possibilità di ricerca,
II. La creazione di situazioni favorenti la fantasia, ovvero la facilità a calarsi in situazioni lontane dalla propria esperienza abituale (mondi lontani, nel caso di giochi di ruolo o simulazioni),
III. La creazione di situazioni in cui i partecipanti siano più disposti a lavorare,
IV. Il favorire la creazione di un clima piacevole.
La dimensione ludica deve però essere autentica: il gioco prevede uno scopo in sé stesso, non si può giocare con uno scopo esterno, o peggio fingere di giocare.
Tuttavia, terminato il gioco, esso potrà essere utilizzato come esperienza da analizzare e ricostruire.
La dinamica ludica può accompagnarsi all'attività formativa sdrammatizzando fenomeni reali complessi, agevolando l'interpretazione di un ruolo, creando condizioni in cui sia forte il piacere del fare in sé (manipolazione, sensazioni coinvolgenti, motricità), utilizzando la competizione verso gli altri o se stessi.
Come detto, i campi simulati (ad esempio giochi di simulazione e di ruolo) sono adeguati a fare interagire il gruppo con quegli oggetti o quei fenomeni reali che concretamente non possono essere utilizzati, data la loro essenza dinamica o il loro svi­luppo in ambiti non percepibili direttamente. Parallelamente, nell'ambito della simulazione è possibile interpretare ruoli lontani dai propri, cosa che consente la comprensione delle ragioni delle scelte e delle modalità di rapporto con l'ambiente da prospettive diverse da quelle personali. Infine è possibile ragionare sul gioco stesso quale modello di realtà, scoprendone i limiti e le potenzialità. La simulazione è un modello dinamico di un contesto (ambientale, reale, immaginario), in cui viene focalizzato un numero limitato di aspetti. L’esperienza della simulazione consente di rapportarsi, fare, decidere entro un modello di realtà (naturale, sociale, tecnologica). Calarsi in un ruolo significa riprodurre un punto di vista sulla realtà per comprenderne bisogni, rapporti, modi di pensare, punti di vista. Il gioco diviene ambito complesso ove decidere, agire, trasformare, rappresentare scenari .
5.
A partire dalle opere di Paul Ricoeur e precisamente dal suo scritto Il modello del testo, apparso sulla prestigiosa rivista “Social Research” nel 1971, le scienze interpretative costruiscono il loro programma intorno a una potente metafora: quella che vede l’azione umana = testo. Di fronte a questo testo, l’opera del ricercatore è quella di essere un’interprete, che deve produrre una proposta di comprensione del significato. E’ in questa ottica che si interpreta il ricercatore come colui che contribuisce attivamente alla costituzione del sapere. Il ricercatore diventerebbe così un traduttore di discorsi, nel tentativo di evidenziare il significato del testo (o, meglio, di ciò che egli interpreta e traduce). Ogni gesto, ogni comportamento oggetto dello studio di un ricercatore nel campo sociale ed umano diventa così sede di uno slittamento di significato, perché l’interpretazione non è il dato).
Ma la metafora del testo e dell’attività del ricercatore come interprete pone dei limiti all’interpretazione stessa, come quello di offrire una rappresentazione dell’oggetto della ricerca in maniera statica, come cosa solamente da leggere, già fornita da un contesto e non soggetta a modifiche, così come non soggetta a modifiche è la struttura della ricerca che si va a intraprendere.
Un ulteriore approccio alla questione è stata quindi quella di passaggio da uno statuto delle scienze umane da interpretativo a dialogico: Clifford & Marcus hanno proposto (a partire dai loro scritti degli anni ‘80) l’attenzione sul fatto che la ricerca sociale si basa sul significato dei dialoghi e delle interazioni fra ricercatore e soggetti indagati. L’attività di osservazione compiuta dal ricercatore non si basa allora più sul cogliere gli eventi, su descriverli in cerca di una (impossibile) oggettività, ma soprattutto sul significato che gli eventi hanno per gli attori sociali coinvolti. In questa logica, importanza assoluta ha il fatto che l’accesso alla visione della realtà dei soggetti indagati è comunque mediato da transazioni discorsive. In questa logica, il soggetto indagato e il ricercatore costituiscono e negoziano una versione della realtà impegnandosi entrambi nella ricerca. Il ricercatore non è più un interprete, ma è un co-autore del testo.
La presenza del ricercatore sul campo incide sulla ricerca.
Heinz von Foerster (soprattutto nell’opera Sistemi che osservano) ha più volte rilevato la riflessività del sistema costituito dalla relazione fra sistema osservato e sistema osservatore: il ricercatore dà forma, informa di sé l’oggetto e lo consegna sotto una descrizione del cui aspetto egli è fin dall’inizio responsabile.
In questa logica, che deriva dagli studi della cosiddetta “seconda cibernetica”, non solo si vede mutare la percezione della natura dell’incidenza del sistema osservatore sul sistema osservato, e quindi il ruolo centrale del ricercatore sul campo, ma anche il fatto che la libertà di interpretare e di ritradurre il significato della ricerca che si conduce non è un rischio o un intralcio della ricerca, ma la caratterizzazione di ogni iniziativa di ricerca, come parte costituente.
Con questa svolta dialogica nelle scienze sociali o nell’ambito delle ricerche come pratiche sociali (ossia con uomini e donne concreti, in situazioni pratiche) IL RICERCATORE NON E’ UN MEZZO INTERPRETATIVO PER RACCOGLIERE UN SAPERE MA PARTE DEL SAPERE STESSO!
6.
Allo stesso modo, l’insegnante può fare ricerca mettendosi in prima persona all’interno di un contesto normale, come quello educativo della classe, e sapere che il suo stesso essere presente incide sulla dimensione dell’apprendimento e del riconoscimento di un senso e di un significato nel lavoro dei suoi allievi. La maniera di fare ricerca non è uguale per tutti, né è sancita a priori dal fatto che si ponga l’etichetta della ricerca su ogni azione che l’insegnante compie. Lavorare però nell’ottica della scoperta di un senso assieme alla propria classe implica però anche sapersi divertire e in qualche misura, essere parte del gioco, esploratore fra gli esploratori, maestro fra i ragazzi e mediatore di conoscenze.
PICCOLA BIBLIOGRAFIA:
§ Bateson G. ”Verso un’ecologia della mente” Adelphi 1976.
Bertone M, Bianco L., Boni V. “Mappe e Tesori” progetto della Associazione Culturale “DPA-Concetti Fluidi” 1997.
§ Maturana H.R. & Varela F.J. “Autopoiesi e cognizione” Marsilio Editori 1985.
§ Maturana H.R. & Varela F.J. “L’albero della conoscenza” Garzanti 1987.
Von Foerster H. “Non sapere di non sapere” in “Che cosa è la conoscenza” Laterza 1990.

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