sabato 22 agosto 2009


IL GIOCO
L’elemento del gioco, sia esso formalizzato o no, “spontaneo” o regolato, è un elemento ineludibile della riflessione teorica sull’animazione, soprattutto perchè è la modalità principale di lavoro dell’animatore nei contesti in cui si trova a svolgere il proprio ruolo professionale.
Prima, però, di iniziare ad analizzare le potenzialità del gioco in senso stretto o come opportunità di potenziamento dello sviluppo personale in animazione, occorre provare a fare un breve excursus storico circa le varie posizioni teoriche susseguitesi nella storia del pensiero, cercando di enucleare le costanti e le differenze di tali pensieri che hanno largamente influenzato l’approccio anche pratico alla tematica ludica.
PRIMA PUNTATA
In questo excursus è stata focalizzata l’attenzione su alcuni aspetti che hanno caratterizzato il dibattito, soprattutto circa la componente educativa e le finalità di sviluppo evolutivo del gioco, ma occorre precisare che alcuni autori hanno lungamente trattato del gioco in senso lato e rifrendolo non solo all’infanzia.
Possiamo evidenziare alcune scuole teoriche in ordine cronologico, ciascuna esprimendo approcci metodologici diversi, talvolta in modo sensibilissimo:
1. Il gioco dall’antichità a Kant
2. Il gioco nel Romanticismo
3. Il gioco nel Positivismo
4. La posizione teorica di Claparède
5. Le ricerche di Decroly
6. Lo studio del gioco in relazione al ruolo: finzione-simbolo/egocentrismo-socialità nel gioco
7. Piaget
8. Il rapporto gioco-lavoro
9. Il gioco e la terapia: approcci psicoanalitici e psicosociologici
DECROLY
Per questo autore il gioco non implica uno scopo cosciente, a differenza del lavoro. Il gioco non ha quindi finalità, e, la demarcazione fra gioco e lavoro sembra essere segnata dal fatto che quest’ultimo è un’attività penosa, che richiede uno sforzo e finalizzata ad uno o più scopi.
Nei bambini il gioco è un bisogno e tramite tale dimensione il bambino può conseguire la consapevolezza d’apprendimento. Un intervento educativo può fare in modo che il gioco, attraverso la ripetizione di certe conoscenze indispensabili, metta in campo metodi che producono auto-educazione da parte del bambino.
CLAPAREDE
L’attenzione di questo autore è stata soprattutto sullo sviluppo genetico. L’educatore (animatore) deve quindi conoscere molto bene le fasi di tale sviluppo, le condizioni favorevoli e sfavorevoli affinchè il periodo evolutivo dell’uomo porti alla pienezza della perfezione.
Claparède si pone un interrogativo circa la funzione dell’infanzia, giungendo alla conclusione che l’INFANZIA SERVE A GIOCARE E AD IMITARE.
Quindi, il gioco diventa, nell’età evolutiva, un’ATTIVITA’ CON UN FINE INTRINSECO.
In un periodo in cui esistevano e venivano formalizzate molte teorie sul gioco, tale autore si inserì ritenendo che il gioco fornisse all’organismo lo stimolo necessario allo sviluppo degli organi, fosse d’aiuto per sfogare emozioni altrimenti pericolose.
Quindi, mentre alcune tendenze teoriche sostenevano che il gioco fosse un residuo di tendenze ataviche, o che servisse ad “eliminare i surplus di energia”, Claparède anticipava la teoria freudiana e kleiniana secondo la quale nel gioco si sfogano in modo simbolico tensioni e impulsi interiori.
Un’altra grande intuizione di Claparède è stata quella di distinguere i vari tipi di gioco:
· giochi sensoriali
· giochi motori
· giochi intellettuali
· giochi affettivi
· giochi sociali
tutti connessi all’età e all’interesse/bisogno dell’individuo.
In tutti i giochi si avrebbe una componente multipla, ed essi piacciono in quanto danno soddisfazioni, poiché, TUTTO CIO’ CHE RISPONDE AD UN BISOGNO DA SODDISFAZIONE (= tutto ciò che asseconda lo sviluppo dei bambini provoca loro piacere).
PIAGET
Il gioco costituisce, per questo celebre autore, il POLO ASSIMILATIVO, così come l’imitazione costituisce il POLO ACCOMODATIVO DELLO SVILUPPO.
Il gioco inizia però più tardi, in quanto in una prima fase (primo stadio) il bambino fa solo esercizio dei propri riflessi. Il gioco appare, comunque, già nelle prime reazioni circolari, quando il bambino mostra di divertirsi ad emettere suoni, ed accompagna il movimento della testa e delle mani con una mimica di sorriso.
Nel cosiddetto terzo stadio prova il piacere di essere causa (scuotere un sonaglio, far cadere un giocattolo), e, nel quarto stadio, per mezzo della COORDINAZIONE DEGLI SCHEMI, sa fare vere e proprie combinazioni ludiche, destinate a divenir sempre più complesse e ad assumere, nello stadio successivo, un CARATTERE RITUALE, per cui il bambino ripete minuziosamente tutti i gesti, utili ed inutili per il suo gioco, al solo scopo di esercitare la sua attività in modo completo.
Piaget riteneva che il simbolo ludico procedesse da un rituale motore, ovvero dall’esecuzione di un’azione anche incidentale che assume significato in base alla SOMIGLIANZA CON UN’ALTRA AZIONE.
Nella sesta fase dello sviluppo secondo Piaget appaiono, invece, veri e propri SCHEMI SIMBOLICI COMPLESSI, accompagnati dal sentimento della finzione , del “come se”, che distingue il gioco simbolico da quelli semplicemente motori.
E’ evidente l’affinità fra le caratteristiche di tale fase e l’imitazione differita, dacché gli oggetti vengono usati per mimare. L’elemento che li differisce è però l’avvento di un processo di ASSIMILAZIONE DEFORMANTE DI OGGETTI NUOVI, a cui applicare schemi personali (ed ecco apparire ANALOGIE: la foglia diventa piatto, il ditale diventa un bicchiere, ecc...).
Il simbolo ludico, benché assomigli al segno, differisce, nella teoria piagetiana, ha una certa analogia con l’oggetto significato, mentre il segno (parola) è puramente convenzionale e sociale.
E’ assolutamente centrale nel pensiero di Piaget che la comparsa del gioco simbolico coincida con l’inizio del linguaggio. Su questa coincidenza di fattori, ad esempio, Piaget basa la sua dimostrazione dell’indissolubilità e complementarietà degli aspetti individuali e sociali dell’equilibrio dello sviluppo della personalità.
Cosa significa il “gioco”?
· Ci si mette in campo in maniera diversa
· Vengono rappresentati ruoli talvolta meno formali e diversi
· Si possono riscontrare comportamenti improntati a MENO DIFESE
· Dubbio: nei giochi di gruppo si tende ad accettare tutti?
· E’ importante la dialettica COOPERAZIONE/COMPETIZIONE
· OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE
· ACQUISIZIONE ED INTERPRETAZIONE DI RUOLI
· VINCITA/PERDITA
· L’ACQUISIZIONE DI RUOLI IMPLICA ATTENZIONE A SE STESSI E RITORNO INEVITABILE A PROPRIO CARATTERE COME MODALITA’ DI ESPRESSIONE
· STRATEGIEÛ TECNICHE
· REGOLE
· GIOCO = MOTORE DI APPRENDIMENTI/CAMBIAMENTI
(1) la coscienza filosofica (come la coscienza in generale) è la possibilità dell’autocoscienza; (2) l’autocoscienza, a sua volta, è la possibilità della riflessione trascendentale; (3) la riflessione filosofica costituisce un caso particolare di riflessione trascendentale. La riflessione filosofica ci permette di sviluppare argomenti trascendentali in grado di chiarificare i concetti impiegati in quella riflessione stessa. Questi argomenti trascendentali ci riportano al luogo da cui siamo partiti, a ciò che già sappiamo. Gli argomenti trascendentali esplicitano i concetti, nelle loro interconnessioni e nel loro elucidarsi a vicenda, tali che qualsiasi cambiamento apportato ad uno solo di questi concetti coinvolge anche tutti gli altri. La riflessione filosofica è immanente, non "meta": non ci trasporta ad un livello superiore, ma piuttosto approfondisce il livello al quale già ci troviamo. Quindi, la riflessione filosofica non ci mette nella posizione contraddittoria di pensare oltre i limiti del pensiero. Le osservazioni del secondo Wittgenstein sulla filosofia esprimono questo tipo di riflessione trascendentale. Fanno parte del "gioco linguistico trascendentale".

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