sabato 22 agosto 2009




PREMESSA METODOLOGICA - GIOCO E SCUOLA
Nella scuola italiana, a differenza della scuola anglosassone, i termini «gioco» ed «educazione» vengono visti come antitetici e per lo meno non facilmente conciliabili, mentre i fondamenti pedagogici e psicologici del gioco (si pensi alle ricerche di Piaget e Bruner, ad esempio) sono tuttavia evidenti.
Inoltre il gioco è un argomento che coinvolge varie discipline: la Matematica (con la Teoria dei Giochi), l’Etologia, la Filosofia, la Letteratura (che hanno in comune, in quanto discipline, il fatto di costituire modelli del mondo).
Il gioco è un elemento creatore di cultura, come ha da tempo riconosciuto la scuola primaria, forse facilitata da tante condizione, fra cui quella di essere visto come una caratteristica dell’età infantile, arrivando a supporre che l’attività ludica sia solo una forma usata dal bambino per conoscere ed entrare in relazione con la realtà, ma passata l’età infantile del gioco si possa tranquillamente farne a meno. In realtà si farebbe meglio a pensare all’attività ludica come ad un fattore costante dell’esperienza giovanile non riconducibile alla sola età infantile: basti a tale riguardo pensare ai giochi informatici, ai videogame, alle playstation così tanto diffusi tra gli allievi di 15-16 anni, proprio l’età degli allievi ai quali la scuola preferisce non parlare più in termini di giochi.
Ciò costituisce una contraddizione in termini evidente.
Il gioco può agevolmente contribuire a definire pratiche didattiche valide per strategie educative in tutte le varie fasi del processo educativo.
Per Bruner, nella cui teoria dell’istruzione la fase ludica ha un ruolo assolutamente centrale, l’efficacia dei processi di apprendimento si fonda sull’acquisizione di un atteggiamento problematico (problem solving), sulla possibilità di un «uso attivo delle strutture apprese» (da cui, sostiene Bruner, la necessità di «pensare per strutture», vale a dire utilizzando idee generali su cui si basano le conoscenze nelle varie discipline). Nel suo pensiero riveste particolare significato il rapporto tra «argomento di studio» e «processo di apprendimento»: quest’ultimo si configura come «una serie di formulazioni successive di un problema secondo un ordine di progressione che fa crescere nell’allievo le capacità di trasferire ciò che apprende, … attraverso un atteggiamento di curiosità, di scoprire da sé». Nell’ambito di questa concezione della didattica, è di fondamentale importanza il ruolo della rappresentazione, definita come “traduzione dell’esperienza in un modello del mondo”, che presenta tre differenti modalità (che si trovano combinate tra loro nella gaming simulation): modo attivo (attraverso l’azione), modo iconico (attraverso la visualizzazione), modo simbolico/verbale (attraverso il linguaggio).

Nella scuola superiore, quindi, è molto utile strutturare, nel caso in cui si proceda all’uso di strumenti ludici, situazioni che permettano di conseguire alcuni obiettivi cognitivi:
· formulare congetture ed ipotesi sulla base degli input informativi ricevuti,
· compiere operazioni sulla base dei concetti introdotti,
· proporre modelli di rappresentazione della realtà,
· insegnare a maneggiare e verificare modelli teorici,
· rendere la discussione strumento per istruire, valorizzando così il ruolo del linguaggio.

Apprendere (o pensare) per strutture, per modelli, secondo relazioni è nella moderna pratica e letteratura didattica, coincide con un modello della conoscenza che si poggia su alcune basi:
· un insieme di variabili poste in relazione fra loro,
· una rappresentazione ridotta della realtà tramite un qualcos’altro (equazioni, simbologie, immagini), rappresentazione che permette di formulare ipotesi e porre domande
· un punto di vista formalizzato in base a regole, ma comunque sempre parziale che costituisce una possibile interpretazione dei fenomeni considerati, riproducibile e trasferibile.

Tra le principali positività dell’uso didattico dei modelli c’è senz’altro quella di rimettere in discussione il carattere assolutamente oggettivo della realtà come “dato” e di mostrare invece come la conoscenza si organizzi secondo un’ipotesi esplicativa dei fenomeni; in tal modo vengono posti al centro dell’apprendimento non dati e fatti scorrelati fra loro, bensì un’insieme di relazioni dinamiche per spiegare le quali non bastano semplici relazioni causa-effetto ma occorra introdurre nozioni quali interazione e/o causalità reciproca, in altre parole sono le idee e le conoscenze ad essere oggetto di un modello .
Il modello, come appena definito, è implicito nel concetto stesso di simulazione definibile come il progettare un modello di un sistema reale e condurre tramite esso esperimenti per comprendere il comportamento del sistema medesimo e/o valutare le possibili strategie per operare sul sistema.

I giochi di ruolo e di simulazione (di tipo didattico, e quindi supportati da almeno 3 condizioni essenziali e necessarie che sono illustrate nello Schema 1) si legano alle caratteristiche attese di operatività intesa come un “saper fare”.

In quest’ottica i processi di apprendimento seguono percorsi ricorsivi che interessano risultati e strumenti, influendo gli uni sugli altri secondo circoli virtuosi o viziosi a seconda delle capacita di controllo del soggetto. Dal nostro punto di vista non vi può essere reale trasferimento di conoscenza senza riflessione critica sulle strategie adottate per acquisirla e sui vincoli di validità.
La sperimentazione, mediante strumenti autocostruiti o acquistati consente di collegare l’apprendimento all’autostima, rafforzando il senso di dominio sul mondo esterno e sul “motore inferenziale interno” o strumento testa.
Ogni essere vivente è programmato in modo omeostatico all’apprendimento, ad organizzare e riorganizzare secondo rigorosi criteri economici le proprie risorse e i propri comportamenti, apprendere significa dare forma alle proprie energie vitali e quindi influire sull’ambiente dando i nomi alle cose secondo regole etiche generalmente condivise.
L’organizzazione cognitiva dello spazio si lega all’organizzazione concettuale della conoscenza, ai metodi e agli strumenti adottati, il problem-solving al gioco didattico, il tempo al ritmo, alla musica e alla ricerca di livelli di astrazione sempre più elevati.
Ed ecco che quindi una situazione di gioco permette anche il confronto e la costruzione di modelli nel senso di sapere usare al meglio i concetti e le relazioni in esso contenuti: in quest’ottica l’esperienza non è solo quella che si può toccare con mano, ma può riferirsi a cose remote nel tempo o nello spazio purché esse possano essere rese visibili e rappresentate.
È facile così comprendere tutta la potenzialità simbolica della gaming simulation che offre l’opportunità di:
· rappresentare concretamente realtà astratte,
· acquisire automatismi basati sul meccanismo stimolo-risposta,
· comprendere le regole del gioco, nel senso di saper organizzare un proprio comportamento razionale e coerente ed una propria strategia operativa fondata sulla struttura intrinseca del gioco,
· comprendere l’aspetto simbolico che fa del gioco una simulazione, ossia riuscire a discernere la realtà che sta sotto il modello.

I giochi di simulazione implicano inoltre lo sviluppo di uno tra i principiali aspetti educativi la cui acquisizione specifica nelle varie discipline risulta spesso alquanto macchinosa da parte degli allievi: l’abilità linguistica. Essa viene trasmessa sia quando, nella fase che precede il gioco, si presenta tutta la terminologia ed i vari concetti preliminari, sia durante il suo svolgimento, come anche nella fase finale (durante il debriefing). La gaming simulation è particolarmente indicata per questo scopo, infatti i vari vocaboli vengono dapprima definiti, poi esercitati e quindi usati operativamente sul campo; inoltre la nuova terminologia introdotta viene costantemente accoppiata ad una visualizzazione, rendendo così più agevole l’apprendimento (nella gaming simulation gli aspetti linguistici-attivi-visivi viaggiano sempre di pari passo). Il linguaggio trova però la sua più generale utilità nella fase del dibattito finale (debriefing) che ha lo scopo di valorizzare tutto ciò che il gioco include, stimolando gli allievi a fornire spiegazioni e motivazioni circa le diverse fasi vissute. Al riguardo si può ricordare come il fatto di “fare domande” (e in generale l’atteggiamento problematico) consenta di comprendere come anche i dettagli possano essere significativi e veicoli di informazioni; tutto ciò allena gli allievi ad una lettura in senso critico del dato, abitua a non considerarlo con acriticità ma come qualcosa di problematico che deve essere fatto oggetto di indagine. Il debrifing ha poi la funzione di rendere esplicite le caratteristiche artificiali e convenzionali del modello il quale, leggendo la realtà, considera degli aspetti ma inevitabilmente ne tralascia altri: la parola ha proprio la funzione di introdurre ciò che nel modello non è presente (per esempio la generale maggiore complicazione degli aspetti sociali, delle relazioni umane e culturali, ecc.). Attraverso il linguaggio gli allievi possono così rendersi conto di come la conoscenza non sia qualcosa di statico, ma piuttosto sia sempre in continua evoluzione e debba essere considerata sempre in progressione.
Viene ora spontaneo chiedersi quale sia il ruolo dell’insegnante nella gaming simulation. Il suo è un ruolo di fondamentale importanza: ha il compito di guidare l’attività, orientare la discussione, aiutare gli allievi a prendere parte attiva al processo di apprendimento - da veri protagonisti - ed in sua assenza moltissime potenzialità della simulazione resterebbero inespresse.
Schema 1. Condizioni per usare un gioco di ruolo o di simulazione a scuola.
a. presenza di un tema (ad esempio, la storia di un luogo) o un problema (procedure logico-deduttive da acquisisre)
b. presenza di un settino educativo adeguato (tempi e spazi)
c. presenza di spazi di riflessione dopo il gioco

Schema 2. Tipologie di giochi per le classi di Scuola Superiore
a. giochi logico-matematici (per innescare intuizioni logiche),
b. giochi di ruolo (role-play, per indagare l’assunzione di ruoli fittizi),
c. giochi di simulazione strategica (per esempio i wargames),
d. giochi di simulazione giocata su tavoliere (simulation games),
e. giochi di simulazione giocata su computer (computer simulation).

Schema 3. Problem setting e problem solving in sintesi.
Il processo metodologico parte dal disagio, che sta prima del setting del problema. Poi analizza lo scenario, per tutto ciò che ha a che fare con l'organizzazione in esame, e per le linee di sviluppo possibili. Quindi analizza la situazione interna, e la storia di quanto è avvenuto prima. Cerca di capire dove si sta andando con l'analisi dei trend. Si evidenziano quindi le aree di criticità. Si organizza la raccolta dei dati, e si attivano tecniche di stimolazione della creatività. A questo punto si è in grado di definire il problema, e di organizzarne la soluzione con le tecniche di problem solving.

Piccola bibliografia per l’Insegnante
Caillois R. (1981) I Giochi e gli Uomini, ed. A cura di G.. Dossena, Bompiani
Cecchini A. et Al. (1987) “I giochi di Simulazione nella Scuola, ed. Zanichelli.
Duhem P. (1978) La teoria Fisica. Il suo oggetto e la sua struttura. Ed, Il Mulino.
Huizinga J. (1973), Homo Ludens, ed. Einaudi
Turkle S. (1998) La simulazione è seducente ma, se non la capisci, inganna; Telema, 12, pp. 42
Von Neumann J. et Al. (1944) “Theory of games and economical behaviour ”, Princeton University Press.

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